La floriterapia non rincorre la cura della malattia, ma sradica l’ignoranza, ha come scopo il viaggio iniziatico inteso come un nuovo inizio, un cambio ontologico dell’essere.
Eduardo Grecco
Elisa ha 35 anni. Ha letteralmente scalato le posizioni del settore commerciale di una importante azienda nazionale. Ha una famiglia che ama e da cui è amata. Non le manca nulla. Ma.. le manca qualcosa. Si trova a parlarmene quasi per caso. Non sapeva ancora di trovarsi innanzi a un sentiero, che giaceva non visto, di progressiva introspezione e scoperta, visione ed emersione, che l’avrebbe portata nel volgere di poco tempo a riconsiderare l’intera sua vita finora trascorsa nei termini di un enorme vuoto da colmare con oceani di dedizione responsabile.
Non è passato molto tempo dall’inizio del sentiero, ma oggi Elisa è la stessa donna dallo straordinario successo personale e familiare, che ha accolto e abbracciato l’Ombra, le ha saputo dare un nome, rielaborarla e metterla al suo fianco sapendo che c’è. Non ne è più governata: la governa.
Pietro ha 52 anni, ed è soddisfatto sia esteriormente che interiormente. Non è un uomo di successo, o anzi lo è di più perché ha la cosa più preziosa: la serenità. Davvero il suo è uno spirito molto zen. Sa vivere nel presente, godere del poco e del molto, non cedere mai al vittimismo. Da alcuni anni ha capito che una parte di sé molto viva nell’infanzia è lì che bussa costante alla sua porta. Un po’ più costante di prima, un po’ più pressante. E’ la parte che sa del “mondo altro” e che vi sa accedere. E’ la parte dell’acqua dell’Inconscio, la parte del sonno, la parte del sogno, la parte del sovrasensibile. Da bambino Pietro parlava con esseri straordinari. Dopo i primi anni delle elementari “non si è visto più nessuno”. La comprensione emergente negli ultimi anni si accompagna all’appuntamento del risveglio notturno delle 3: occhi sbarrati, vago senso di oppressione. Nulla di che, comunque. Richiude gli occhi e si addormenta.
Pietro adesso dorme. Il suo sonno è sereno come lo è il suo mondo emotivo, come è il suo mondo esteriore. Con scetticismo, ma uno scetticismo dolcissimo e ironico, si era interrogato ad alta voce, davanti a me, sulla possibilità che i fiori di Bach potessero fare qualcosa di più che “farlo dormire meglio”. Il Mondo Altro è ora in questo, e penso che Pietro diventerà un iniziato.
Né lui né Elisa si sarebbero mai rivolti, in circostanze normali, a un floriterapeuta.
Dopo 100 anni di pratica dei fiori di Bach, ancora siamo tutti legati all’uso estemporaneo delle essenze floreali. All’uso che affronta e risolve una crisi, all’uso che cerca di modificare l’intonazione di un periodo della vita: di far rientrare la tristezza, di dominare l’impulsività, di equilibrare l’umore.
Questo nonostante la floriterapia dinamica di Orozco; nonostante Krämer che con i suoi binari ha mostrato con grande evidenza la stratificazione dei dilemmi emozionali; nonostante i repertori dell’Australia, della California, dell’Arizona, dell’Alaska ci abbiano ormai mostrato al di là di ogni ragionevole dubbio che “prendere i fiori” non significa soltanto guarire emozioni disfunzionali e dolorose (e quanto merito c’è in questo). La sorprendente eterogeneità dei repertori ci mostra che la Natura ha la risposta a tutti i dilemmi dell’esistenza umana, quelli più contingenti come quelli più profondi, quelli mentali ed emozionali come quelli esistenziali e ontologici.
La pratica attenta e coraggiosa della floriterapia invoca la conoscenza e l’abbraccio e l’esplorazione delle immense possibilità delle vibrazioni floreali, che sempre più si distaccano dalle cassette degli attrezzi della rimediologia della medicina naturale e olistica per andare a occupare il posto che più loro compete di messaggeri del Divino, di catalizzatori di consapevolezza e nuova coscienza, di mediatori animici.
Personalmente, trovo che da queste considerazioni nascano due esigenze.
La prima, e più banale, è di comprendere una volta per tutte che dietro il segno c’è l’uomo, dietro il segno attuale c’è un cammino, il cammino di una vita, e che se non vogliamo fare sintomatologia dobbiamo riconoscere che la floriterapia è sempre un percorso.
Un percorso che, certamente, deve immancabilmente partire da lì, da dove la persona è in quel momento persa e smarrita e sofferente:
“I conflitti interiori profondi possono venire elaborati solo quando la coscienza non è più impegnata a confrontarsi con influenze esterne”. Dietmar Krämer
o, con Ricardo Orozco:
“In floriterapia, ciò che è urgente viene prima di ciò che è importante”.
Dopo di che, però, si fa strada la seconda e più innovativa esigenza. Quella di superare l’impostazione “psicodinamica” della floriterapia e lo stesso nome di “floriterapia”, per approdare a una floriterapia del profondo, che pensi in grande e si arroghi il diritto – che per la bellezza e la potenza di cui è portatrice le spetta – di osare, di superare la cornice causalistica dei fenomeni emotivi (il senso di colpa radicato nell’infanzia, per esempio) e giungere al nucleo più radicale dei dilemmi vitali. Alle dinamiche dell’incarnazione. Al senso complessivo di ciascuna singola esistenza. Al significato che le esperienze più dolorose e formative di una vita hanno inteso veicolare a maggior beneficio della persona.
Questo non significa rinnegare il peso che i traumi in generale, e i traumi dell’infanzia in particolare, hanno nella generazione dell’universo emotivo individuale. Significa esattamente l’opposto: riportare al centro il trauma, che proprio perché quasi sempre diviene un elemento centrale e direttivo di una intera esistenza richiede imperativamente di essere elaborato e liberato, e al contempo per la stessa ragione invoca una spiegazione più profonda.
Dunque, non può esservi floriterapia del profondo che non contempli una adeguata floriterapia del trauma, da percorrersi con grande preparazione sui repertori floreali, costante discernimento e soprattutto ascolto della persona. E naturalmente il floriterapeuta non può che trarre grande vantaggio dall’ausilio di strumenti di indagine capaci di arrivare a scrutare i dilemmi fondamentali dell’esistere: l’astrologia, la tarologia (che apre le porte anche alla possibilità di un lavoro molto profonda come nel lavoro sull’ombra), le ipnosi.
Con o senza questi ausili, nel momento in cui muta la nostra concezione fondamentale dell’uso delle essenze floreali, mutano interamente possibilità, limiti e capacità applicative della floriterapia. Anche se rileggendo attentamente le opere complete del dr. Edward Bach non si può non accorgersi quanto lo sguardo lungimirante di questo straordinario pioniere avesse già visto molto lontano.
Mi piace qui lasciare la parola allo straordinario Eduardo Grecco, floriterapeuta e psicoterapeuta argentino, di cui riporto un brano, tratto dall’ottimo sito di Antonella Napoli:
«La floriterapia non è una medicina, e non è una medicina alternativa ma una alternativa alla medicina, e infatti Bach fonda la floriterapia su basi assolutamente diverse da quelle mediche.
La floriterapia non è una medicina energetica o vibrazionale perché le essenze non sono energia ma principi di informazioni. L’elettricità prodotta dalla luce non è la luce, l’elettricità è lo strumento affinché noi possiamo vedere questa luce.
Ci sono emozioni che abbiamo bisogno di fare nascere e in questo senso le essenze sono degli agenti che favoriscono questo parto. Però Bach insiste che il terapeuta non deve intervenire in questo “parto”, ma facilitarlo perché la conoscenza è già presente nel paziente, il compito è solamente farla emergere. Per questo diciamo che la floriterapia è una terapia maieutica, noi floriterapeuti siamo come ostetriche, che aiutano a dare alla luce emozioni represse ai nostri pazienti. (…)
Poi la floriterapia è un’arte dialettica che cerca sempre l’opposto rispetto a quello che appare. Bach era un uomo molto influenzato dalla visione gnostica e dalla lettura orientale dei vangeli. Pensava, (come si legge nei vangeli) che non è combattendo il male ma sviluppando il bene, che si curano le persone. La malattia non ha nulla di negativo, ma è un elemento che ci aiuta a comprendere. Dietro ogni malattia c’è un elemento che bisogna sviluppare, non bisogna guardare gli aspetti negativi, ma il talento, i doni, i carismi. Questo è quello che i sintomi insegnano. I sintomi sono un cammino e la malattia una fucina dalla quale apprendere. (…)
Bach in un testo dice di fare attenzione all’ambiente, alle persone che vengono frequentate perché sono quelli i difetti che verranno sviluppati. Si dice: “ma è lui che è intollerante”, “io sono allergico”, senza rendersi conto che allergia e intolleranze sono corna della stessa mucca. Quale è la ragione che mi fa essere intollerante o allergico? Perché devo sviluppare la tolleranza. (…) Bach dice sempre di guardare dall’altra porta.
La terza caratteristica floriterapeutica è che è un’arte interpretativa. L’omeopatia è descrittiva, mentre la floriterapia si chiede sempre l’interpretazione della condotta simbolica del paziente. Ci sono vari testi in cui Bach si domanda la relazione tra i sintomi e cosa significano. Un primo livello di interpretazione è come quello che fa il medico guardando una radiografia, come se veramente si potesse capire quello che succede dalla radiografia. E invece non capiamo niente. Quello che c’è nella radiografia è una macchia e il medico interpreta la macchia. Allora il paziente va da uno psicologo e lo psicologo di fronte a diagnosi di tumore al lobo inferiore del polmone gli dice: “lei si è sentito rifiutato non amato dalla madre” anche questa è una interpretazione di ordine psicosomatico. Tanto quanto una donna in menopausa soffre di osteoporosi e lo psicologo le dice che “ha una malinconia ossea”: questo è un secondo livello di interpretazione psicologica. Ma a Bach non interessa l’interpretazione psicologica della malattia, vuole capire il significato dei sintomi del corpo attraverso l’anima. Una teologia del corpo. (…) Usa il modello della medicina cabalistica, ma è importante capire che l’interpretazione che Bach fa non è un’interpretazione di tipo psicologico, a lui interessa cosa questo significa per l’anima. (…) C’è un livello che è un livello anatomo-fisiologico che è quello del medico, quello psicologico, e quello di lettura floreale del corpo, la “teologia del corpo”. I tre livelli sono uniti, si supportano reciprocamente, ma il livello specificamente floreale è quello di interpretazione del corpo dal punto di vista dell’anima. (…)
La quarta caratteristica della floriterapia è che è una terapia alchemica, e lo è da prospettive diverse: prima di tutto perché i rimedi sono preparati in maniera alchemica (Bach parla di 5 elementi per la preparazione dei rimedi – come il sale mercuriale che trasforma il piombo della nostra ombra nell’oro della coscienza). I rimedi sono quindi dei Sali alchemici della conoscenza, preparati attraverso un processo alchemico. Perché per esempio Bach cambia il metodo e con i primi 18 fiori usa la solarizzazione e con gli altri la bollitura? Alcuni autori dicono che perché gli ultimi fiori sono duri e non permettono il processo per la solarizzazione, ma non è vero. In verità il cambio di metodo è stato usato perché l’obiettivo finale è molto diverso dai primi fiori. Il metodo solare aggiunge una qualità ai rimedi che è quella di lavorare progressivamente e profondamente, l’ebollizione aggiunge la rapidità e l’attività perché sono rimedi destinati a situazioni traumatiche di crisi e transitorie. Questo cambiamento di stato è un cambiamento alchemico.
E (…) l’oggetto della terapia floreale è proprio la “trasmutazione”, la trasformazione , perché i fiori trasmutano la personalità.
La quinta caratteristica della floriterapia è che è un’arte iniziatica. (…) I fiori aprono un canale che va dalla personalità all’anima e l’obiettivo della floriterapia è l’illuminazione e che la luce dell’anima penetri nella personalità. È un processo terapeutico in cui un maestro aiuta un discepolo paziente ad arrivare alla luce, a raggiungere l’illuminazione. E’ come se la floriterapia fosse un processo iniziatico e noi siamo come una nave, una barca che ha una mèta, un obiettivo, tanto quanto la nostra personalità. Quando ci chiediamo che tipo di barche siamo, stiamo parlando dei 12 guaritori. Dove è questa barca lì c’è l’anima e i 7 aiutanti sono l’aiuto che abbiamo bisogno per navigare nel mare dell’esistenza. Immaginate che il capitano dica “togliete l’àncora” e l’aiutante non lo faccia, oppure “issare le vele” e l’aiutante non lo faccia… in questo modo la barca naviga male. I sette marinai sono i 7 aiutanti, sono sette argomenti di vita, sette sistemi di credenza e sono equivalenti a sette luoghi simbolici di una loggia massonica. In questa navigazione ci imbattiamo in pericoli, uragani, temporali che sono i 19 ultimi rimedi. Quindi il tipo di imbarcazione sono i 12 guaritori, gli argomenti della nostra esistenza e i marinai che ci aiutano i 7 aiuti, le avversità che dobbiamo vincere nel nostro viaggio i 19 altri rimedi.
La floriterapia non rincorre la cura della malattia, ma sradica l’ignoranza, ha come scopo il viaggio iniziatico inteso come un nuovo inizio, un cambio ontologico dell’essere. Ciò non vuol dire che non sia importante fare sparire il mal di testa, ma questo non è il compito del floriterapeuta, il compito del floriterapeuta è collaborare nel processo evolutivo. Bach dice che noi siamo formati da due strutture: anima e personalità. Noi nasciamo con la nostra personalità che ci viene regalata e non è il frutto di nessuna esperienza di vita, quindi una sorta di sesso che abbiamo dalla nascita. L’anima quando decide di incarnarsi fa un disegno di ciò che deve venire a prendere, di ciò che deve realizzare. (…) Ognuno di noi ha una sola ed unica missione da realizzare e il non realizzare la propria missione coinvolge tutti, perché l’evoluzione non è una cosa individuale, ma collettiva; un compito collettivo che si sviluppa per tutti e quello che ognuno fa compromette e cambia il mondo. »
Fare floriterapia del profondo significa iniziare con un colloquio molto approfondito che permette di impostare un percorso completamente personalizzato, nel quale si definiscono insieme le priorità e gli step. Periodicamente, e questa periodicità inizialmente è di un mese circa (cioè la durata tipica di una boccetta con la miscela floreale) per poi diradarsi, si rifà insieme in colloqui successivi il punto della situazione, e si ridefinisce dinamicamente il percorso. Perché quel che accade sistematicamente è che risolti i problemi più impattanti per la persona, alcune tematiche che sembravano meno importanti balzano in primo piano. E’ come sbucciare una cipolla.
Di solito l’effetto positivo dei fiori è immediato, e nel giro di poco tempo – tipicamente alcuni mesi – la persona viene a capo del disagio per il quale ha cercato aiuto. Però l’effetto cipolla citato fa sì che spesso decida di continuare comunque, e a quel punto diventa via via sempre meno un percorso terapeutico e sempre più un percorso di introspezione ed evoluzione che i fiori catalizzano con straordinaria efficacia.
Quindi in termini molto generali la sequenza è: disagio emotivo -> colloquio -> fiori. Questo approccio permette di affrontare con successo la gran parte delle sofferenze emotive della persona, e rappresenta il percorso tipico della floriterapia del profondo.
Tuttavia, la floriterapia del profondo è molto ambiziosa, e in alcune situazioni occorre riconoscere che il colloquio può non bastare più. Capita infatti che il dilemma di una persona sia espresso in questi termini: “Io non ho un particolare malessere: però sento che c’è una parte di me che è potente e riesce in qualche modo a guidare le mie azioni. Una parte nascosta che non conosco. Puoi aiutarmi a venirne a capo?”
Oppure: “Io ho questa patologia fisica che mi affligge da 10 anni. Vorrei esplorarne il significato e capire di che cosa è espressione e come posso fare per agevolarne interiormente la risoluzione”.
In questi casi il colloquio non basta.
Occorrono strumenti che consentano di indagare ancora più in profondità, di esplorare territori ignoti e altrimenti inaccessibili, per il terapeuta e per la persona.
Qui si affianca la straordinaria efficacia dell’uso dei Tarocchi. Quando si citano i Tarocchi c’è una generale levata di scudi, perché queste sacre carte vengono associate a ciarlataneria e superstizione. Nel migliore dei casi qualcuno dice: “non ci credo”. E però è tempo di dire che dopo Jung e tutto il resto “non ci credo” non va più bene, va sostituito con non conosco, e il fatto di non conoscere non rende una cosa non vera e non ci autorizza a non usarla quando può essere di aiuto.
Cosa permettono di fare i Tarocchi allora? Tornando alle due situazioni che ho descritto poco fa, permettono in un caso di fare quel che io chiamo “il lavoro dell’Ombra”, cioè di indagare per mezzo delle sincronicità significative messe in luce dagli Arcani il mondo sommerso interiore, di esplorare queste zone remote che stanno in ognuno di noi. La nostra Ombra appunto, come la chiamava Carl Gustav Jung, che non a caso aveva in gran stima i Tarocchi. Le scoperte progressive che emergono da questo lavoro vengono poi indirizzate e trattate con le essenze floreali. L’Ombra diventa così sempre meno “in ombra” e può essere integrata nell’Io cosciente. E’ un lavoro veramente veramente importante.
L’altro esempio che facevo sopra è quello di una importante malattia fisica, non necessariamente gravissima ma magari molto molesta, cronica, o recidivante. Qualcuno può chiedersi: “Che senso ha questa malattia nella mia vita?”. E’ vero, oggi abbiamo una griglia, anzi più griglie, di interpretazione psicosomatica per i vari disturbi, ma si tratta di letture comunque generaliste. Ma cosa significa adesso, per me, nella mia vita, questo disturbo fisico? Come si collega ai pezzi della mia vita, alle persone della mia vita? E dove devo guardare, e dove devo agire per cercare di guarirla? Anche qui la sapienza tarosofica è un ausilio formidabile che può fare la differenza.
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